Un
risveglio come tanti altri, i giochi sul lettone con te che tenerissima, col
ciuccio in bocca abbracci stretto stretto il coniglietto della nanna, papà che
nel frattempo in bagno si lava, noi che lo aspettiamo in camera da letto…
Poi
scendiamo tutti a fare colazione: Heidi che scodinzola intorno al tavolo
aspettando il suo biscotto quotidiano, tu che urli in attesa che si scaldi il
latte, papà che fa il caffè ed io che ancora devo capire chi sono e qual è esattamente
il mio ruolo alle 7 e mezza di mattina…
Così
inizia la nostra giornata ogni mattina da lunedì a venerdì.
Poche
le variazioni sul tema, poche le differenze.
Una
nastrina che si scalda in forno è l’aroma del nostro dolce risveglio familiare.
Ma
stamattina, quando papà è tornato giù dopo essersi lavato i denti, mentre mamma
iniziava discorsi senza fine, giusto per trattenerlo ancora qualche minuto a
casa con noi, lui improvvisamente si è seduto e con la faccia pallida e
preoccupata mi ha guardata e mi ha detto poche parole “non sto bene, mi gira la
testa”.
Ho
cercato di mantenere la calma, aspettando qualche minuto che passasse.
Ma
non passava… e il tempo sembrava ed era eterno.
Si
è steso sul divano e mi ha chiesto di tenergli su le gambe… tu intanto gattonavi
intorno a noi, cercando di attirare la nostra attenzione e ripetendo “tati” (grazie)
e porgendoci ogni volta un gioco diverso…
I
pensieri hanno cominciato a correre veloci nella mia mente… la paura mi
rallentava il respiro, la preoccupazione mi confondeva le idee… e intanto lui
lì, fermo, con gli occhi socchiusi e la faccia pallida.
È
stato così, fermo, per un po’ di tempo, non so dirti quanto, ma mi è sembrato non
finire mai.
Poi
ad un certo punto mentre io ero in bagno a cambiarti, (tu hai un tempismo per
fare la cacca…), lui si è alzato dal divano, mi ha detto di essersi ripreso e testardo
come pochi, è voluto andare a lavorare, guidando da solo per 60 kilometri, in
mezzo all’Adriatica, una strada che non è tranquilla nemmeno d’inverno…
Io
l’ho guardato in faccia quando è uscito di casa e posso assicurarti Alice, che non
stava per niente bene, si vedeva dalla sua espressione.
Avrei
voluto dirgli di restare a casa, impedirgli di uscire, urlargli la mi rabbia,
raccontargli la mia paura… ma sapevo che qualsiasi cosa avessi detto o fatto,
non sarei riuscita a trattenerlo e l’unica cosa che avrei ottenuto, sarebbe
stata quella di farlo arrabbiare inutilmente…
Per
questo sono rimasta zitta e immobile, guardandolo mentre si allontanava in
macchina, con dentro un senso di impotenza e di inutilità che cresceva ogni
istante dentro di me, con dentro la paura che aumentava ad ogni mio respiro,
con dentro la rabbia che diventava ogni istante più grande.
Ora
lui è a lavorare, mi ha telefonato e so che sta ancora male, gli gira la testa e
ha vomitato almeno due volte.
È
andato anche dal medico dell’ufficio che dice che è indigestione e ora lo trattiene
un paio d’ore in ambulatorio…
Mi
sembra assurdo che invece di aver chiamato un medico a casa, lui abbia
preferito andare in ufficio e farsi visitare là… come se il lavoro venisse
prima della sua salute, come se la sua presenza lì in questo momento, servisse
a qualcosa…
Mi
sembra ancora più assurdo che lui sia in un ambulatorio del cavolo, da solo, mentre
invece io che dovrei e soprattutto, vorrei esseregli accanto, sono qui a casa,
a trastullarmi davanti al p.c., a scrivere uno dei miei inutili post, per
tenermi impegnata, per cercare di non pensare.
È
sempre così Alice, ogni volta che tuo padre sta male mi allontana, mi rifiuta,
vuole restare da solo… forse per abitudine, o forse perché nel suo immaginario
un uomo, un maschio, non ha bisogno di conforto, di affetto… Non lo so perché,
ma ti assicuro che quando fa così lo odio e avrei tanta voglia di picchiarlo,
di strappargli i capelli uno per uno (e tuo padre ne ha tanti…)!
Ogni
volta che sono stata male io in questi anni, lui è stato al mio fianco e io so
quanto la sua presenza sia stata utile per me. Mi domando allora perché lui non
vuole che gli stia accanto, sono davvero così inutile? Mi chiedo se sia giusto
rispettare i paletti che lui mette e rimanere lontana quando me lo impone e mi
ripeto ogni volta, che dovrei fare la stessa cosa quando sono io quella che sta
male, allontanarmi da lui e tenerlo distante, impedirgli in qualsiasi modo di
restarmi accanto e lasciarlo a vivere la sua preoccupazione da solo, fra
quattro mura, attendendo una telefonata con delle notizie più o meno
rassicuranti.
Forse
sono egoista e in questo momento in cui dovrei solo essere preoccupata per lui,
la mia rabbia è fuori luogo, ma non posso farci niente la preoccupazione e la
paura in me generano senso di impotenza che scatena la rabbia e il tentativo di
tuo padre di proteggermi tenendomi a distanza, peggiora decisamente la
situazione…
Ora
cercherò di respirare profondamente e di fingere una calma e una serenità che
non ci sono. Farò anche in modo di inventarmi qualcosa per tenermi impegnata e
cercherò di concentrare la mia attenzione altrove.
So che non ci riuscirò, perché
non riesco a fare a meno di pensare a lui, perché sono preoccupata e ho paura e
so che niente mi tranquillizzerà fino a quando stasera non lo vedrò rientrare
da quella porta e so anche che quando finalmente sarà tornato a casa, la gioia
di riabbracciarlo sarà così grande da farmi dimenticare la rabbia che ho
provato in queste ore... ma so che non è giusto e penso che forse se per una
volta provasse come si sta dall’altra parte, se sentisse quello che sto
sentendo io ora, capirebbe…
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