Ieri per caso mi è
venuto in mente quando io, prima di conoscere papà, volevo espatriare, scappare,
andare a vivere all’estero.
Il mio sogno era quello
di trasferirmi un giorno a Madrid.
Ci ho anche provato e
per alcuni periodi ho “giocato” a fare l’emigrante.
Vivere all’estero non è
dura, è durissima, l’ho sperimentato sulla mia pelle.
Certo, molto dipende
dal carattere, ma per una come me che ha bisogno di sentirsi a casa, di mettere
radici e di ritrovarsi anche nei piccoli oggetti di uso comune quotidiani, è un’impresa
con un carico emotivo molto pesante.
Ti manca tutto, anche
la solita marca di dentifricio che naturalmente, non riesci a trovare. Ti senti
spaesato e non è un problema di lingua, perché quello era l’unico ostacolo che
a Madrid non dovevo affrontare, è un problema di abitudini, di usi e costumi,
di cultura, di clima, di orari. Ecco, per esempio gli orari a Madrid sono
assurdi: si pranza alle tre di pomeriggio e si cena alle dieci di sera… mi ci
ero abituata ma non mi sarei mai rassegnata…
Perché allora una
persona “normale” ad un certe punto della sua vita sente il bisogno, la voglia,
il desiderio o la necessità di trasferirsi in un altro stato? Che cosa lo
spinge ad affrontare tanti sacrifici e tante difficoltà? Non so gli altri, ma per
me in quel momento è stata una necessità: detestavo la vita insulsa che conducevo
in Italia, ero assolutamente insoddisfatta di quello che facevo e volevo dare
una svolta radicale, a qualsiasi costo. La vedevo come l’unica soluzione
possibile per “salvarmi”, l’unica possibilità di realizzarmi in qualche modo.
Ma poi la vita mi ha stupita,
regalandomi un sogno molto più grande, mi ha dato tutto ciò che ho ora e mi ha
resa immensamente felice, come non pensavo di poter essere.
Non c’è stato bisogno
di andare così lontano: è stato sufficiente incontrare la persona giusta al
momento giusto e spostarsi di appena 60 kilometri.
Certo, all’inizio anche
qui non è stato facile.
Papà sta via dodici ore
ogni giorno ed io ho dovuto abituarmi prima a stare da sola in un posto a me sconosciuto
e poi costruire una rete di affetti, trasformare banali conoscenze in reali
amicizie, cominciare a sentire familiari luoghi a me assolutamente estranei:
tutte cose che hanno richiesto tempo ed energie.
Nessuno mi ha regalato
niente. Tutto è stato ottenuto faticosamente, giorno dopo giorno, passo dopo
passo, con grandi sforzi e immensi sacrifici.
Oggi però, dopo quattro
anni, posso dire che qui è casa, mi sento e sono completamente a mio agio,
questo è il posto dove ho imparato che si può anche essere felici e che la vita
è bella, qui è dove ho finalmente messo radici e dove vorrei vedere crescere
mia figlia e vivere i miei prossimi anni.
Oggi quando papà va via
ogni mattina, non mi sento improvvisamente persa, non mi vedo come un granello
di sabbia in mezzo al vento, non ho più paura, perché tutto è familiare, perché
so come muovermi e dove andare, qualsiasi cosa succeda o di qualsiasi cosa io
abbia bisogno so a chi rivolgermi.
Oggi, posso dire
serenamente che non ho più bisogno di scappare, non sento l’esigenza di andare lontana,
forse perché non sto cercando nulla, non mi manca niente, tutto ciò di cui ho
bisogno è qui, tutto ciò che voglio ce l’ho a portata di mano.
Sono realizzata,
appagata, in una parola: felice.
Ho solo paura un giorno
di dover abbandonare tutto questo e di dover ricominciare da zero in un altro
posto…
Non so se ce la potrei
fare, ci ho pensato a volte e sono sincera nel dire che credo di no, perché ora
sono consapevole di quanto sia difficile e di quanto per me sia necessario, al
contrario di quello che pensavo, mettere radici stabili e durature.
Forse potrei vivere un
periodo di alcuni mesi lontana da qui, una parentesi che potrebbe anche essere
piacevole, ma solo con la certezza di tornare a casa, senza perdere i privilegi
che in questi anni ho acquisito, senza dover dire addio a questi posti, senza
dover abbandonare le mie consuetudini quotidiane, e senza dover perdere le poche
persone che in questi anni sono diventate importanti.
Sbagliavo quando
pensavo di essere un animale migratore, io sono una pianta, per l’esattezza un “Abete
Coreano”, un albero che sviluppa radici grandi e profonde.
Forse ora che ci penso, alla
luce di questa consapevolezza, invece della Spagna avrei dovuto provare a
trasferirmi in Corea…
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