giovedì 23 aprile 2015

Ciao ciao Irlanda...

Ci sono posti nei quali lasciamo il cuore, e vorremmo tornare e altri nei quali ogni tanto torniamo davvero.
Ci sono viaggi che sogniamo di fare per tutta la vita e che invece non faremo mai, ma non importa, noi continuiamo a fantasticare su come sarebbe.
E poi ci sono città in cui siamo stati, ma che per una strana serie di ragioni e coincidenze ci ricordano un pessimo momento della nostra vita e allora pensiamo che non ci torneremo mai.
Per me una città nella quale vorrei tornare è sicuramente New York, anche se di posti belli dove ho lasciato il cuore ce ne sono molti altri, come ad esempio la Scozia, o Isla Margarita dove sono andata in vacanza con un'amica quando ero davvero giovanissima.
Invece il viaggio che da sempre sogno di fare e che non ho mai fatto e forse non farò mai, è quello verso l'Australia un paese che mi attrae e che immagino pieno di verde e con grandi spazi, il paese dei koala e dei canguri e già solo se penso a questi animali mi verrebbe voglia di salire sul primo aereo.
Ma c'è anche una città e una nazione dove non so se riuscirò mai a rimettere piede e quando qualcuno me ne parla, provo una sensazione quasi di fastidio qualcosa del tipo "vorrei, ma non posso...".
Forse un giorno ci tornerò ma ora non sono ancora pronta e l'ho capito stasera quando un'amica mi ha scritto che l'Irlanda e Dublino sarà il suo prossimo viaggio.
Per me purtroppo l'Irlanda rappresenta l'ultimo viaggio prima del cancro, quando nessuno sospettava che ci fosse e solo io avevo la netta e chiara sensazione della sua presenza dentro di me.
L'Irlanda mi ricorda terribilmente quei giorni in cui aspettavo una risposta, quella risposta che temevo e che poi è drammaticamente arrivata confermando i miei timori e cambiando la mia e la nostra vita.
Dell'Irlanda ricordo mole cose ma la prima che mi viene in mente ogni volta è sempre la stessa. È uno strano "ristorante", molto spartano, dove abbiamo mangiato dell'ottimo pesce fresco guardando il mondo fuori attraverso una grande vetrina e poi a fine pasto ho convinto papà a telefonare per me all'ospedale, perché io non avevo il coraggio di chiedere se era pronto il risultato della mia biopsia. E mentre tu inconsapevole stavi buona sul tuo passeggino, lui fuori dal ristorante cercava di mettersi in contatto con il reparto e camminava nervosamente avanti e indietro parlando al telefonino, io da dietro a quella grande vetrata scrutavo il suo volto, i movimenti delle sue mani, le sue espressioni e cercavo di interpretare ogni suo gesto, col chiaro, inspiegabile e fastidioso presagio che una delle mie più grandi paure purtroppo stava per prendere forma.
Quel giorno non abbiamo avuto nessuna risposta Alice e abbiamo dovuto aspettare altri giorni e il rientro in Italia per avere la mia diagnosi, ma quando ripenso a quegli attimi mi rendo conto che in cuor mio io sapevo già di avere il cancro...


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